GIORNATE DI STUDIO
“POLITICHE DELLA FORMAZIONE:
OPZIONI, INIZIATIVE, ESITI”
Date
29.30 ottobre 2009
Riparliamo di “politica”
Le giornate di studio del 2009 si propongono più che altre volte di costituire una continuazione e un approfondimento delle questioni che abbiamo cercato di affrontare lo scorso anno.
Il titolo “Politiche della formazione” richiede alcune precisazioni preliminari per delimitare il campo: non ci occupiamo della formazione di base, universitaria o scolastica, né della formazione professionale; non intendiamo portare l’attenzione sulle molteplici e reiterate prescrizioni e sollecitazioni che vengono inserite nei testi legislativi e nei documenti di programmazione e neppure considerare i finanziamenti messi a disposizione dagli organi di governo nazionale e locale o le opportunità di accesso ai vari fondi istituzionalmente attribuiti alla formazione. Sarebbero queste delle analisi di scenario che richiederebbero delle ricognizioni accurate e che forse più che offrire suggestioni rispetto alla formazione potrebbero mettere in luce degli aspetti del funzionamento del mondo politico/partitico. Riprendendo l’ipotesi che l’agire politico non sia soltanto quello di chi ha ruoli politici (ma che sia anche – e in modo consistente – quello che si gioca, a cui si è sottoposti o che si cerca di imporre, quello con cui ci si misura nelle interazioni lavorative) ci proponiamo piuttosto di sviluppare delle analisi e delle riflessioni sulle attività formative che vengono progettate e realizzate nei luoghi di lavoro e di interrogarci sui loro collegamenti con il contesto sociale più ampio, su come e quanto interagiscano con le trasformazioni che travagliano la vita quotidiana.
La formazione è vista per lo più come necessaria per l’acquisizione di competenze specifiche richieste dall’introduzione di nuovi processi produttivi, di nuove tecnologie, di nuove configurazioni organizzative (fusioni e ristrutturazioni) ma la funzione che di fatto riveste va ben al di là di questo: secondo un’opinione largamente diffusa, costituisce una “leva gestionale” ovvero si pensa che possa mantenere i singoli attivamente e positivamente collegati ai compiti di lavoro, offrire delle opportunità di evoluzione professionale, di sviluppo di carriera, di assunzione di nuovi ruoli, e anche migliorare il clima organizzativo e sostenere motivazioni e identificazioni con l’organizzazione nel suo insieme.
I modi con cui la formazione viene considerata e impostata sono influenzati da scelte “politiche” riguardanti la collocazione dei singoli rispetto all’organizzazione e in particolare l’esercizio del potere e l’uso del sapere: al tempo stesso concorrono all’interno e all’esterno delle organizzazioni ad affermare e a rinforzare delle culture lavorative (pregnanti anche rispetto al contesto sociale complessivo), dei modelli di comportamento di pensiero e di relazione, variamente allineati alla cultura dominante, paralleli o distanziati.
Le domande da cui partire per avviare la riflessione potrebbero articolarsi attorno ad alcune questioni di sfondo: le iniziative formative a cui prendono parte coloro che sono collocati a vari livelli nelle organizzazioni lavorative private e pubbliche, quali assetti sociali tendono a promuovere? quali rapporti tra diverse appartenenze e posizioni? quali saperi vanno a privilegiare e diffondere? quali esigenze e quali attese mettono in primo piano? quali rappresentazioni veicolano delle trasformazioni sociali e degli spazi di affermazione delle soggettività individuali?
La formazione come considera e interpreta i rapporti tra singoli e organizzazione?
Ogni attività formativa che viene organizzata nelle situazioni lavorative fa riferimento a rappresentazioni differenti e specifiche dei rapporti tra singoli e organizzazione; impatta in modo consistente con le idee circolanti su come i singoli debbano interagire con l’organizzazione e su come l’organizzazione debba considerarli e trattarli; ripropone tuttora la questione sollevata dalle critiche alle scienze classiche dell’organizzazione rispetto al considerare gli individui variabile dipendente o indipendente; riapre delle incertezze su quali siano le potenzialità da sviluppare e su dove e come possano essere rinvenute e sostenute. Spesso la formazione viene collegata a dei cambiamenti, assumendo l’ipotesi – piuttosto diffusa – che modificazioni strutturali necessarie, spesso inevitabilmente disegnate dai vertici o da interventi esterni (leggi, fusioni, avvicendamenti nella proprietà, riassetti istituzionali) difficilmente possono trovare effettiva realizzazione se i singoli non le acquisiscono e non se ne fanno portatori nella operatività, in particolare per le organizzazioni che producono servizi. I singoli vanno coinvolti in modo che sviluppino capacità e competenze per ricollocarsi e per attrezzarsi rispetto alle nuove attese che l’organizzazione ha nei loro confronti. A volte considerandoli capaci in quanto contenitori da riempire, variabili dipendenti per la realizzazione di obiettivi e strategie predefinite.
Nella realtà per avviare e promuovere dei processi di cambiamento che sono comunque faticosi è importante poterli investire positivamente e vederli in prospettiva, guardando a un futuro possibile da costruire. All’interno delle situazioni lavorative il futuro appare nebuloso ed incerto, soprattutto non prevedibile e forse non immaginabile. Ci si rifugia nel presente e nelle identificazioni con il proprio particolare lavoro mentre le identificazioni con l’organizzazione nelle sue diverse articolazioni e nei suoi vertici sembrano sempre più fragili. La fiducia in qualcosa che verrà e che potrà essere frutto dei cambiamenti appare debole sia da parte dei singoli chiamati a partecipare alle attività formative che da parte di responsabili e capi che le promuovono. Non è così chiaro e condiviso che il nuovo disegno organizzativo sia valido, sia pienamente soddisfacente e sia da assumere fino in fondo, chiedendo ai singoli anche attraverso la formazione una adesione piena e convinta: si pensa che i singoli in definitiva debbano piegarsi alle richieste dell’organizzazione (o di chi in essa detiene potere), ma le richieste non sono così chiare e non è neppure chiaro se siano quelle più vantaggiose. I singoli che possono o potrebbero avere delle idee rispetto ai cambiamenti si chiedono se e come esporle e esporsi, a chi e a che cosa far riferimento: forse esistono delle opportunità per valorizzare la propria esperienza, affermare la propria soggettività, prendere parola e potere, ma non si sa bene questo a che cosa porti.
Chi progetta e realizza iniziative di formazione come si misura con queste situazioni? Come si colloca quando emergono scissioni sia da parte dei committenti che dei partecipanti tra quanto viene proposto e trattato nelle attività formative e quanto viene messo in pratica e sperimentato nella quotidianità lavorativa? Come affronta le oscillazioni esistenti nei singoli e nell’organizzazione (in coloro che la dirigono) tra il considerare vitale, proprio nelle condizioni di incertezza, dare spazio e legittimazione ai singoli, alle loro attese e proposte e il ritenere prioritario implementare comunque un modello razionalmente definito, che mantiene ordine, rassicura e sostiene?
La formazione come si colloca tra razionalità e emotività?
La formazione è rappresentata come ambito in cui vengono accresciute e perfezionate le competenze che i singoli devono possedere per svolgere attività, esercitare ruoli, contribuire a produrre beni e servizi in modo adeguato. Per acquisirle, rinnovarle o arricchirle si può tendenzialmente considerare più rilevante investire per fornire contenuti e metodi, per sollecitare la appropriazione di aspetti più sistematizzati e razionalmente fondati, insistendo sull’importanza e la centralità delle componenti cognitive nello svolgimento delle attività lavorative e delle evoluzioni che le caratterizzano. I corsi di formazione vengono previsti e confezionati ma anche frequentati come prosecuzioni della preparazione scolastica universitaria, suddivisi per argomenti presentati da docenti esperti e definiti nei tempi e nei modi a partire dalle esigenze di esposizione e trattazione. Si pratica una sorta di standardizzazione delle iniziative formative (a volte in gergo denominate “pacchetti”) che fa sì che possano essere predisposte in astratto e attuate in modo analogo nelle situazioni più varie, utilizzando più o meno le stesse slides, gli stessi questionari, le stesse dispense.
Questo tipo di formazione non riscuote presso i partecipanti elevato gradimento a meno che non sia offerta da istituzioni prestigiose o si avvalga di maestri con grande reputazione. Mantiene comunque una consistente considerazione da parte dei vertici organizzativi che ne apprezzano solidità e garanzie. In ogni caso da tempo accanto ad essa e a volte in modo giustapposto se non persino del tutto separato vengono proposte e realizzate attività formative che tendono a privilegiare, a dare spazio e importanza alle dimensioni emotive e relazionali, considerandoli fattori preminenti e condizionanti per il benessere dei singoli da cui dipende anche un buon adattamento dei singoli al lavoro e un soddisfacente impegno nei processi di produzione. Come è noto questi seminari o incontri possono assumere le configurazioni più varie: rivolgersi a piccoli gruppi o a grandi numeri. In ogni caso i formatori assumono posizioni fascinatorie e seduttive che permettono di riscuotere ammirazione, riscaldare gli animi e suscitare spinte fusionali. Potrebbe essere questa una strada entro cui possono trovare ascolto e legittimazione quelle domande di riconoscimento di sé che tanto affannosamente oggi ricorrono anche nelle situazioni lavorative?
Più in generale ritornano alcuni interrogativi. A che cosa si ricollega la tendenza (sintetizzata in uno slogan tutt’oggi frequentemente richiamato, “sapere, saper fare, saper essere”) a scindere i fattori che favoriscono negli esseri umani i processi di apprendimento? Anche le più recenti scoperte delle neuroscienze non indurrebbero a ricomporre le modalità con cui possono essere acquisiti nuovi comportamenti e adattamenti?
Per i formatori le attese dei partecipanti di essere ascoltati, valorizzati e riconosciuti non rischiano di essere viste come improprie, ignorate o respinte, oppure di essere dilaganti e di essere prese in toto per poter garantirsi consenso e soddisfazione?
Che cosa implica sul piano politico la separazione nella formazione tra dimensioni razionali e dimensioni emotive? quale esercizio di potere e quali dipendenze si giocano? quali dissimmetrie tendono a fissare?
La formazione rivolta al singolo o rivolta a gruppi collocati in uno specifico contesto?
Il moltiplicarsi di evoluzioni tecnologiche e organizzative ha fatto emergere nel contesto sociale complessivo nuovi ruoli professionali o nuove declinazioni di ruoli professionali tradizionali. Da più parti vengono sollecitate e proposte attività formative finalizzate ad attrezzare i singoli all’assunzione di tali ruoli, ipotizzando delle diverse opzioni e dei diversi percorsi.
Si può investire nella individuazione e caratterizzazione di un modello di ruolo professionale o organizzativo, dotato delle competenze metodologiche e delle prerogative teoricamente congruenti e adeguate a garantire un esercizio ottimale del ruolo. La formazione conduce e sostiene i singoli nella assunzione e interiorizzazione dei diversi modelli per cui, con varie e differenti modalità, offre loro la possibilità di diventare manager o dirigente, oppure formatore o consulente, ecc… Ci si muove all’interno di una visione atomistica, in cui viene messo in primo piano l’investimento nell’individuo e il suo individuale percorso di identificazione con il modello proposto, che può essere anche relativamente distante dalle situazioni reali ma proprio per questo ha una propria intrinseca validità e può essere legittimato nelle condizioni più diverse. Chi diventa “formatore” o “manager”, potrà lavorare in modo professionalmente appropriato in un’azienda sanitaria o in un’azienda commerciale, in un ente locale o in una cooperativa. Si ipotizza che possa arrivare a possedere una strumentazione ma anche una identità professionale che gli consente di rispondere in modo positivo e soddisfacente alle richieste che gli verranno poste.
Assumendo una differente opzione si può invece dare priorità e rilevanza ai contesti entro cui i ruoli vengono esercitati e alle relazioni entro cui sono collocati, considerando che il confronto con le diverse realtà e con altri soggetti impegnati per l’assunzione di ruoli analoghi, costituisce fonte significativa di apprendimenti. L’acquisizione di competenze è collegata alla possibilità di misurarsi rispetto a problemi specifici, che vanno identificati e riconosciuti per poter distinguerli e affrontarli individuando degli obiettivi pertinenti, limitati, collegati a risorse e vincoli. Il lavoro formativo in quest’ottica va molto al di là dell’impegno in aula, perché si tratta di predisporre condizioni preliminari che rendano possibile ai singoli il riferimento alla loro esperienza e la rielaborazione di quanto via via si sperimenta.
Rispetto alla cultura dominante nella nostra società, marcata da forti spinte all’individualismo e da frantumazioni che aggravano vari disagi, che cosa implicano le opzioni formative che sono state richiamate? Quali identità lavorative tendono a sviluppare? Le competenze che sembrerebbe importante mettere in campo a fronte delle problematiche complesse e di incerta natura possono essere promosse attraverso l’interiorizzazione di modelli? A che cosa ricollegare l’insistente richiesta di definire e possedere modelli professionali e operativi e come interagire con essa?
La formazione tra trasmissione di saperi costituiti e costruzioni di conoscenze…
Nelle varie forme e declinazioni che può assumere in molteplici contesti organizzativi e sociali, la formazione interagisce comunque con il sapere e la conoscenza e può appoggiarsi, sostenere e promuovere in diverse direzioni e con diverse modalità opportunità e capacità di acquisirli e utilizzarli.
A partire dalle radici etimologiche delle parole possiamo convenzionalmente intendere il sapere come insieme di concetti, di teorie, patrimonio stratificato nei secoli grazie all’espandersi e all’evolversi delle scienze, che è stato progressivamente consolidato e sistematizzato, anche per poter essere adeguatamente trasmesso e diffuso. La conoscenza può essere intesa come processo dinamico che i singoli, individualmente o in gruppo, sviluppano per accostarsi alla comprensione della realtà che li circonda e anche ai saperi che in essa sono incardinati e praticati.
A seconda dei contesti, delle attese, degli obiettivi, delle problematiche che ci si propone di affrontare con e nelle attività formative si può optare per fare in modo che i partecipanti siano principalmente sollecitati ad accedere a informazioni e contenuti depositati nelle diverse discipline, ipotizzando che l’appropriarsi di alcuni saperi, anche spesso rafforzato da indicazioni rispetto alle traduzioni operative, porti a migliorare competenze e a lavorare in modo più adeguato. D’altro lato ci si può orientare a creare le condizioni perché i singoli accanto al riferimento ai saperi consolidati, attivino attenzioni e considerazioni su dati incerti e provvisori presenti nei contesti operativi e investano nella ricerca di conoscenze più specifiche, non collaudate ma potenzialmente feconde. È questa l’opzione che viene sintetizzata nello slogan “imparare ad imparare” (traduzione da “learn to learn”) di cui da tanti anni si parla, ma di cui anche da altrettanti anni si sperimenta la distanza dalla realtà.
Quale valenza politica ha il ricorso prevalente o predominante al sapere costituito? Come il sapere finisce per essere collegato al potere che si esercita anche nelle micro-relazioni quotidiane?
9.30 – 10.00 | Presentazione delle Giornate di Studio a cura di Achille Orsenigo. |
10.00 – 10.45 | DARE E PRENDERE FORME: UNA LETTURA DEL SENSO POLITICO CHE HANNO AVUTO E HANNO LE ALTERNE VICENDE DELLA FORMAZIONE NEL NOSTRO PAESE A cura di Franca Olivetti Manoukian. |
10.45 – 11.30 | FORMAZIONE, O RESPONSABILITÀ DELLA FORMA (DA QUANDO LA GERARCHIA È SCOSSA) A cura di Sergio Manghi. |
11.30 – 13.00 | Dibattito in plenaria.
|
14.00 – 17.30 | LABORATORI
I laboratori sono finalizzati ad analizzare alcune esperienze caratterizzate dal ricorso a metodologie e strumenti formativi che si presentano come innovativi e originali.
|
9.30 – 11.30 | TAVOLA ROTONDA: SGUARDI E POSIZIONI A CONFRONTO TAVOLA ROTONDA————————————————————TAVOLA ROTONDA |
Discutono tra loro e con il pubblico: Barbara Binelli, Michelina Borsari, Angelo Fioritti.
Conduzione a cura di Francesco d’Angella. |
|
12.30 – 13.00 | Conclusioni a cura di Francesco d’Angella.
|
Dante Bellamio | Università degli Studi di Milano Bicocca |
Barbara Binelli | Consulente Aziendale Mercer-Tesi |
Michelina Borsari | Direttore Scientifico Festivalfilosofia Modena-Carpi-Sassuolo |
Angelo Fioritti | Responsabile Servizi di salute mentale e dipendenze patologiche – Regione Emilia Romagna |
Giuseppe Ghirardini | RIESCO |
Giorgio Macario | Università degli Studi di Genova |
Sergio Manghi | Università degli Studi di Parma |
Silvio Morganti | Consulente Aziendale |
Federico Pedrocchi | Radio 24 – Il Sole 24 Ore |
Luca Santini | MAP Gruppo Coreconsulting |
Giorgio Sordelli | Formatore e Consulente |
Lo Studio APS è un gruppo di professionisti che opera nel campo della consulenza organizzativa favorendo una lettura interdisciplinare dei problemi organizzativi
Studio APS S.r.l.
Via San Vittore, 38/A
20123 Milano (MI)
tel: 02 4694610 – fax: 02 4694593
CCIAA Milano: REA 1214230/Reg. Imprese
Cod. Fiscale e P.IVA 08209090151
NEWSLETTER
Rimani aggiornato su pubblicazioni, eventi e novità di Studio APS