Dal contesto: sussurri e grida

Delusione, sconforto, rabbia per come va la politica, per i politici che noi stessi eleggiamo e per quelli che da altri vengono eletti impregnano discorsi e commenti che si scambiano negli incontri quotidiani e, corredati di analisi di varia consistenza, ricorrono ridondanti in articoli e saggi di giornalisti e intellettuali.

Le identificazioni nei partiti e nelle figure che li rappresentano, in alcune aree sociali appaiono decisamente esili: funzionari, professionisti, dirigenti, operatori del settore pubblico, del privato e anche del terzo settore, persone cioè che svolgono ruoli significativi nel contesto sociale non solo non manifestano fiducia ma esprimono riprovazione e insofferenza anche per coloro che rappresentano l’opposizione. Apprezzamenti e valutazioni hanno contenuti differenziati, dalle denunce semplificanti e distruttive, alle argomentazioni corredate da dati e documentazioni. Sembra tuttavia che siano riconducibili ad una stessa convergente percezione: si ha a che fare con un insieme eterogeneo di soggetti sostanzialmente motivati da interessi autoreferenziali, fruitori di privilegi, a cui non corrispondono adeguate capacità e competenze. Non a caso ha avuto tanto successo l’immagine della “casta”.

Le ultime elezioni, l’andamento del precedente governo, sembrano aver accentuato valutazioni negative. La scelta del “minore dei mali” (o del “turarsi il naso” come scriveva Montanelli) oppure dell’astensione, il rifugio nell’antipolitica paiono movimenti diffusi proprio in un momento in cui crisi di vario genere locali e globali (economiche, ambientali, energetiche), flussi migratori e squilibri demografici, effetti devastanti di speculazioni finanziarie, moltiplicazione e diffusione iper-accelerata di nuove tecnologie, sembrerebbero richiedere lo sviluppo di politiche attente e innovative.

Come sappiamo e ci ripetiamo in molti ambiti viviamo in una società che da qualche decennio è attraversata da fratture e disorientamenti nel sistema dei suoi valori fondativi, dei suoi ideali o delle sue ideologie unificanti. Siamo immersi nel pluralismo religioso e i riferimenti a un mondo trascendente riescono sempre meno a prescrivere verità, leggi, modelli da realizzare per un mondo più giusto e più umano. Si è andato dissolvendo anche il mito del progresso, del futuro radioso, del benessere per tutti gli uomini di buona volontà, del bel sol dell’avvenire. Si è perso così il senso di una lotta per conquistare il potere per istituire una società giusta, forse non per noi, ma certo per i nostri figli.

Alcuni ripiegano verso posizioni individualistiche, si concentrano nella difesa di privilegi o anche soltanto di posizioni e proprietà acquisite, oppure si isolano in comunità “sane”, “civili”, “giuste”, ben separate e distanziate, che vedono l’esterno solo come minaccia.

Altri auspicano che ci si metta nelle mani di potentati economici, oligopoli, lobby, gruppi finanziari multinazionali considerati gli effettivi manovratori politici, in grado di pilotare governi e organismi sovranazionali: è lì la vera stanza dei bottoni.

Entrambe queste posizioni implicitamente fanno coincidere tout court l’agire dei politici con la politica, come se questa fosse prerogativa esclusiva di coloro che se ne definiscono professionisti.

Il sistema politico non è esso stesso una delle espressioni più visibili delle strutture e delle culture dei rapporti sociali? Non è forse la parte emergente di una realtà sommersa che, di fatto, la fonda e la condiziona? E in questa realtà non hanno un peso importante tutte le istituzioni, le formazioni sociali intermedie, le stesse organizzazioni lavorative? Non possono essere considerate soggetti attivi, in vario modo portatori di iniziative che hanno valenze politiche? Non sono soltanto destinatari passivi di decisioni prese da altri, altrimenti, altrove. Sono parte del mondo in cui agiscono, influenzano il contesto, indirizzano comportamenti e atteggiamenti culturali, contribuiscono a regolare assetti, legami, equilibri economici e sociali.

Chi lavora all’interno di organizzazioni pubbliche e private, proprio nella sua operatività quotidiana, ha o può riconoscere di avere un ambito di azione politica? Ciascuno di noi non è forse o non può essere componente attivo di questi soggetti politici? Pur avendo competenze limitate e ritrovandosi entro gerarchie e frammentazioni che ostacolano collegamenti e integrazioni, possiamo assumere di avere qualche responsabilità nell’influenzare le situazioni in cui viviamo? Possiamo reggere l’idea che forse il riconoscere il senso dell’agire politico nelle organizzazioni lavorative, non costituisce un ripiegamento, ma una valorizzazione di potenzialità esistenti? Possiamo eludere la questione e le questioni che riguardano come viene preso e attribuito il potere di influenzare le nostre condizioni di vita, le scelte per costruire un futuro più equo, di minore malessere? E a quali ipotesi possiamo riferirci in particolare nell’agire a livello micro-sociale, quello in cui effettivamente siamo collocati?

Nelle Giornate di Studio vorremmo dare spazio a confronti e approfondimenti intorno a questi interrogativi. Sono pensate come un’opportunità per esplicitare, rendere apprezzabile, ciò che si riesce a fare di politicamente significativo nel mondo in cui viviamo, ma anche a reinvestire, con maggiore convinzione nella difesa e nella costruzione di una società in cui e per cui valga la pena vivere.

Per prepararci abbiamo cominciato ad individuare alcuni primi interrogativi che proponiamo come spunti larghi e incompiuti da cui partire.


Organizzazioni lavorative e politica

Quando si pensa alla politica sembra che le organizzazioni chiamate in causa siano i partiti, i sindacati, alcuni movimenti oppure gli organismi governativi locali e nazionali.

Proponiamo l’ipotesi che, in forme e con pesi differenti, nelle organizzazioni in cui e per cui si lavora, al di là di strategie esplicitamente perseguite o di volontà chiaramente espresse dai soggetti, l’agire abbia un valore ed un senso politici, spesso lasciati in ombra, poco o nulla rappresentati.


1. Le organizzazioni lavorative sono destinatari o interlocutori di politiche amministrative e governative?

Le politiche globali, quelle europee, nazionali e locali esercitano varie pressioni sulle organizzazioni lavorative e spesso ne indirizzano lo sviluppo. Potremmo dire che la politica entra nelle organizzazioni, nei sottosistemi e nelle rappresentazioni degli individui che ne fanno parte. Ciò avviene in modo spesso solo parzialmente riconosciuto. Sembra che si traduca nell’imposizione di leggi e regolamenti che nel privato imbrigliano e frenano le spinte imprenditoriali e le opportunità di sviluppo e profitto e nel pubblico impongono riduzioni e controlli che accrescono macchinosità e lentezze. Da qui l’immaginario di un mondo circostante caratterizzato da vincoli inamovibili fino a considerare inevitabili decisioni prese rispetto all’ambiente, alla gestione delle risorse economiche, alla regolamentazione dei contratti di lavoro. E da qui anche l’impossibilità di vedere strade alternative al sottomettersi o al sottrarsi con vari artifici.

Se nelle organizzazioni lavorative si sviluppano capacità riflessive pur in modo discontinuo e parziale si riescono a individuare strategie e modalità operative per reagire e rispondere a influenzamenti esterni più e meno cogenti. Ci si legittima come soggetto politico che si rapporta in termini più consapevoli e conflittuali (anche se probabilmente più sofferti) con queste spinte.

Se per politica non intendiamo soltanto ciò che coincide con l’attività di partiti e di rappresentanti di istituzioni governative ma consideriamo anche azioni e decisioni che comunque contribuiscono a influenzare comportamenti e relazioni sociali, possiamo inoltre pensare alle organizzazioni lavorative non solo come luoghi in cui la politica agisce dall’esterno (sostenendo, danneggiando, interferendo, imponendo), ma anche come ad ambiti di generazione di modelli, di assetti, di equilibri e scelte che qualificano e orientano in modo diverso le vite dei singoli e delle collettività. Al loro interno ma anche nei network lavorativi ad esse collegati, nei più ampi task environment (ossia gli ambienti collegati ai compiti/obiettivi specifici delle organizzazioni), sono messi in campo reciproci influenzamenti, poteri, capacità di collegare e decidere. Le organizzazioni lavorative (anche se non sono certo delle democrazie) potrebbero essere viste in un certo senso come delle polis in cui è esercitata appunto l’arte del governo attraverso processi di socializzazione e integrazione di uomini e donne, di italiani e stranieri, di generazioni diverse, di professioni caratterizzate da diverse culture e attraverso trasmissioni e riproduzioni delle gerarchie sociali e dell’esercizio dei ruoli di autorità. Non sono forse diventati questi sistemi tra le principali agenzie di formazione dei cittadini? Il come nelle organizzazioni ci abituiamo a pensare, a considerare l’altro, a gestire la scarsità delle risorse, le differenze, la sofferenza, il tempo, il come si pensa al futuro e lo si affronta non influenzano significativamente il nostro modo di rapportarci al contesto più ampio? Ciò non ha un senso ed un valore politico?


2. Gruppi di approfondimento su problemi

Le organizzazioni lavorative sono i luoghi, i sistemi sociali in cui investiamo gran parte delle nostre energie mentali e fisiche. In quei contesti passiamo la gran parte del nostro tempo di vita attivo e con noi lo passano molti altri soggetti. I servizi sanitari e sociosanitari, le aziende industriali e ospedaliere, le amministrazioni pubbliche locali e ministeriali sono i luoghi in cui costruiamo parti assai significative delle nostre ed altrui identità, in cui tessiamo relazioni sociali, in cui ricerchiamo riconoscimenti, in cui sperimentiamo forme diverse di regolazione dei conflitti. I nostri desideri, le risorse per svilupparli e soddisfarli sono in gran parte caratterizzati dalle organizzazioni in cui lavoriamo.

Le organizzazioni formano non solo le nostre competenze professionali, ma anche in una certa misura, il nostro modo di pensare e di vedere le organizzazioni stesse e il mondo di cui siamo parte, gli altri soggetti che lo costituiscono. Come ben sappiamo non solo siamo in queste organizzazioni, ma anche, noi stessi, le costituiamo, non solo siamo formati, ma anche contribuiamo a formare i pensieri, le fantasie, le rappresentazioni che animano questi sistemi sociali.

Una distinzione classica nella nostra cultura è quella tra tecnici, professionisti e politici. Questa distinzione nella nostra attuale società quanto è anche sovrapposizione? Quanto i tecnici, i professionisti, gli operatori, i dirigenti fanno anche un lavoro che ha un senso ed un alto valore politico? Per contro, quanto i politici sono tecnici (magari della comunicazione, delle regole, del consenso, …), quanto le loro difficoltà sono connesse alle scarse competenze professionali? Cosa li distingue? La forma di nomina? Le competenze messe in campo? Le finalità? Gli interessi rappresentati?


3. Prove di ricomposizione progressiva

Le organizzazioni lavorative hanno certamente funzioni sociali, spesso non dichiarate, spesso inconsapevoli, anche se queste non sono i loro primary task, almeno a livello esplicito. Esse contribuiscono significativamente alla costruzione, manutenzione e distruzione dei network relazionali. Esse contribuiscono fortemente alla formazione professionale e personale dei loro membri, ma anche di clienti e fornitori. Le organizzazioni lavorative non sono indifferenti, col loro funzionamento, a sostenere o minacciare la capacità di comprendersi e di collaborare tra soggetti.
Aziende e Servizi possono sviluppare o erodere il capitale sociale, che come sappiamo è una caratteristica che intreccia l’organizzazione col suo ambiente. Quanto è riconoscibile e sostenibile l’idea che le organizzazioni abbiano anche una responsabilità sociale? Possono reggere la consapevolezza che scelte interne alle organizzazioni lavorative hanno ripercussioni sul mondo in cui operano? Possono sviluppare, consumare o distruggere i cosiddetti beni comuni (acqua, aria, suolo, paesaggi, culture, …), possono influenzare significativamente gli stili di vita del proprio contesto.
Possiamo quindi pensare che siano soggetti dell’agire politico? Possiamo pensare che la politica sia fatta anche dal come agiscono le organizzazioni lavorative e quindi anche da come noi agiamo nelle organizzazioni? Possiamo vederlo anche se il potere di molte organizzazioni appare assai limitato?


30 ottobre 2008
+

9.30 – 10.00 Presentazione delle Giornate di Studio a cura di Francesco d’Angella.
10.00 – 10.45 RICONOSCERE E PROMUOVERE LA VALENZA POLITICA DELL’AGIRE NELLE ORGANIZZAZIONI LAVORATIVE———–

A cura di Achille Orsenigo.

10.45 – 11.30 QUANDO LA GERARCHIA È SCOSSA. LE RESPONSABILITÀ POLITICHE DEL SOCIALE NELL’ERA DELL’INCERTEZZA

A cura di Sergio Manghi.

12.00 – 13.00 Dibattito in plenaria.

 

14.00 – 17.30 LABORATORI
Riconoscimento di azioni positive nel presente e nell’immediato futuro.
Riflessioni sulla sperimentazione di fatiche e aperture possibili
.
Presentazione e discussione di quattro situazioni lavorative a cura di imprenditori, dirigenti e responsabili:

  • Michele Alessi,
  • Silvia Toninelli,
  • Paolo Cattaneo,
  • Giovanna Ferretti, Raffaele Spiazzi, Alessandra Tiberti.


31 ottobre 2008
+

9.30 – 11.30 Tavola rotonda
LA POLITICA NELL’AGIRE NELLE E PER LE ORGANIZZAZIONI LAVORATIVE: SGUARDI E POSIZIONI A CONFRONTO—–
Discutono tra loro e con il pubblico: Gianni Canova, Alberto Musso, Rita Sanlorenzo, Anna Trovò.
Conduzione a cura di Marco Brunod.
12.30 – 13.00 Conclusioni a cura di Franca Olivetti Manoukian.

 


Relatori
+

Michele Alessi Amministratore Delegato – Alessi S.p.A.
Gianni Canova Università IULM di Milano – critico del canale satellitare SkyCinema
Paolo Cattaneo Presidente – Cooperativa Diapason
Giovanna Ferretti Responsabile S.I.T.R.A. – Ospedale dei Bambini – Brescia
Sergio Manghi Università degli Studi di Parma
Alberto Musso Presidente e Amministratore Delegato – Tarros S.p.A.
Rita Sanlorenzo Segretario nazionale Magistratura Democratica
Raffaele Spiazzi Direttore Sanitario – Ospedale dei Bambini – Brescia
Alessandra Tiberti Direttore Dipartimento Pediatrico – Ospedale dei Bambini – Brescia
Silvia Toninelli Responsabile Servizi Educativi – Comune di Cremona
Anna Trovò Segretario nazionale FIM-CISL